Anno cruciale per la storia del menu è il 1908, quando Vittorio Emanuele III con un ordinanza reale impone anche sul cartoncino gastronomico la lingua italiana, condannando i francesismi e i vocaboli francesi. Questa svolta patriottica segna un’incredibile novità e al tempo stesso una maggior consapevolezza nel valorizzare ancor di più la lingua nazionale.
Capatti spiega inoltre:
[…] le liste cibarie di Corte compilate in lingua nazionale adottando una terminologia possibilmente italiana […] Anzi una commissione di accademici della Crusca e di altri glottologi venne appositamente incaricata da S.M il Re per trasformare alcuni termini e neologismi gastronomici francesi in altri corrispondenti italiani.
La prima parola esaminata da questi specialisti della lingua è la parola menu, tradotta dall’Accademia della Crusca con «lista», anche se tra cuochi ed eruditi alcuni preferiscono il termine minuta, altri distinta o elenco altri ancora infine gastronota.
L’ex rettore di Scienze gastronomiche continua dicendo:
I Savoia, infatti, quasi a confermare il carattere teorico del loro gesto, offrirono, il I º gennaio 1908, ai dignitari dello stato, una lista di piatti in tutto francesi fuor che nel titolo:
Ostriche
Consumato di selvaggina all’inglese
Piccole torte alla Principessa
Filetto di manzo alla Périgord
Petti di Pollo alla Lorenese
Poncio alla Sciampagna
. . . e via di questo passo.
La traduzione in italiano comunque dà avvio a difficoltà nell’affrontare la trasposizione delle titolazioni delle singole portate, difficoltà dovute alla mancanza del corrispettivo dei termini francesi in lingua italiana. Sulla questione, Musci invita a considerare un aspetto storicamente ricorrente: i libri vengono compilati e tradotti dai cuochi italiani, con variazioni e ampliamenti, per appropriarsi degli originali. Ad esempio, il già citato testo Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi, è la traduzione del ricettario francese Cuisinière bourgeoise di Menon del 1746.
In questo caso, la resa in italiano è eseguita mantenendo ancora i nomi originali di alcune tecniche culinarie francesi, ma, a mano a mano ci si avvicina all’Unità d’Italia, gli stili interpretativi dei singoli cuochi vanno differenziandosi: Chapusot è coraggioso e tenta traduzioni personali in alcune ricette come il Volauvent che diventa “pasticcio”, Mousse che è tradotto con “schiume”, Soufflée con “frittata a spugna”. Vialardi invece, lavorando sotto la direzione di Hélouis, tenta traduzioni più logiche e naturali possibili sia per gli ingredienti sia per gli attrezzi di cucina: tourneracinas è il “cucchiaio in ferro”, Sobriques le “frittelle”, Boîte à colonne è “tondo di latta”.
Sarà poi con l’arrivo del fascismo al potere, l’italiano diventerà lingua egemonica in tutti gli ambiti della popolazione, utilizzata nella propaganda, nella stampa e nei dizionari. Proprio nella riedizione del Dizionario moderno del 1923, Panzini, scrittore e lessicografo italiano, cita Artusi alla voce «quenelles» e «béchamel» formulando una traduzione di quest’ultimo termine con “balsamella” L’autore inoltre: «osserva che brodo ristretto o consumato lo chiamava già Bartolomeo Scappi […]. Ritradurre dal francese, restaurare vocaboli antichi, significa spostare semplicemente i termini del problema, creando un frasario altrettanto artificioso.
Morale: non si cambia la lingua senza riformare anche la cucina». In ogni caso, quelle che persisteranno sotto il fascismo saranno le difficoltà causate dall’utilizzo di lessico “regionale” e ciò nonostante il regime cercasse di imporre un’unica terminologia identica su tutto lo stivale. Non a caso, sulla «Gazzetta del popolo» sarà presente una rubrica, intitolata Barbaro dominio e curata da Paolo Monelli, che invitava i cuochi a consultare ogni tanto il vocabolario, i vecchi libri di cucina e l’Artusi.
La lista dell’1 Gennaio 1908 rappresenta ufficialmente, per l’Italia gastronomica, l’inizio di una svolta epocale. Prima di questo menu, abbiamo una Distinta del Pranzo, datata 2 Ottobre 1896, che anticipa l’uso dei termini italiani d’obbligo – come si è detto solo dal 1908 – tranne per la voce consommé, successivamente tradotta con “consumato”, ovvero “ristretto”.
Le portate sono le seguenti:
Consommé ristretto con crostini
Salmone con salsa olandese
Filetto di bue alla Perigord con tartufi
Pollo alla fiamminga con insalata
Torrone alla siciliana
Frutta e formaggio
Dolci
Vini: Barolo e Champagne
I piatti, cucinati dal capocuoco Amedeo Pettini, hanno tecniche di lavorazione prelibate: il consumato deve essere gustoso, succulento, limpido e dal colore dell’ambra; il salmone, lessato, in salsa olandese, costituita da aceto, granelli di pepe, uova e burro composti al fuoco fino a creare una salsa; il filetto di bue con tartufi al madera lucidati con gelo; infine il pollo alla fiamminga. Chiudono il pranzo un classico torrone, frutta e formaggio, che inizia ad essere integrato nel menu come protagonista a fine pasto, e dolci.