Prima del 1700, la cucina piemontese e soprattutto quella della città di Torino era particolarmente caratterizzata da sapori agrodolci. Un pò per l’influenza dei Romani, un pò per l’ascesa degli invasori nordici, il gusto dell’agrodolce imperversa nei territori sabaudi.
L’abitudine di bollire le carni aggiungendo nell’acqua aceto, miele, spezie e aromi di ogni sorta a lungo è stata una sorta status symbol. Spezie, zucchero, miele erano prodotti costosi e ostentare cibi cucinati con l’abbondanza di questi ingredienti significava dimostrare la ricchezza della famiglia agli ospiti.
Ma c’era anche un altro motivo che in qualche modo imponeva l’utilizzo di ingredienti “mascheranti”: la necessità di coprire i difetti dei cibi, il più delle volte non perfettamente conservati, nascondendo il sapore con l’agro dell’aceto o del vino.
Il Carpione
Tale sistema era perfetto anche per mascherare cibi con un deciso sapore di fango come per esempio la carpa, il tipico pesce pescato nelle zone acquitrinose della regione.
L’origine del carpione risalirebbe all’alto medioevo, la preparazione della ricetta a base di aceto permetteva sia la possibilità di coprire il sapore poco gradevole del comune pesce, che probabilmente ha dato il nome al piatto (il nome scientifico della carpa è ciyprinus carpio), sia la conservazione del prodotto per più giorni, quindi facilmente utilizzabile in campagna dai contadini.
Col tempo il carpione è stato utilizzato per insaporire e conservare tanti altri cibi, soprattutto pesci come tinca, anguilla, lamprede, ma anche carni e verdure.
Tutt’oggi piatto della tradizione viene preparato come antipasto o secondo piatto che accompagna le calde giornate estive.