Il mio omonimo Maurizio Lattanzio, mi ha chiesto di scrivere qualcosa per i lettori di seeTorino sul come Maurizio Pustianaz sia diventato Gerstein, ma non poteva immaginare in che ginepraio si stesse ficcando. Non essendo stato un processo nato a tavolino, raccontarlo mi può mettere a nudo più del necessario e a disagio più del necessario. Perché? Vi potreste chiedere.
Perché Gerstein nasce da un processo di adattamento a delle privazioni. Privazioni sia sul piano umano che su quello materiale. Per quanto riguarda quello personale, posso dire che Gerstein è stato il mio modo di rispondere ad una situazione personale difficile e quindi è stato al tempo stesso la mia cura/sfogo. Dal punto di vista musicale, la privazione e l’adattamento si sono manifestate in questo modo: avevo solo il mio pianoforte e non avevo soldi per permettermi altro, quindi inventai il mio suono fatto di suite al pianoforte aventi come aggiunta rumori prodotti in vari modi.
Gerstein nasce nel Dicembre del 1984 quando ero quasi maggiorenne. Suonavo il mio piano da quando avevo nove anni, avevo alle spalle cinque anni di studi classici e non ero un bambino prodigio. Il tutto iniziò perché degli amici di famiglia avevano il pianoforte a casa ed i miei genitori mi chiesero se fossi interessato ad imparare. Risposi di sì, anche se non mi ricordo nessun tipo di entusiasmo a riguardo, senza sapere che per il primo anno non avrei visto il pianoforte neanche col binocolo.
Il primo anno doveva far parte di qualche metodo russo, dove ti viene condonata la tortura della goccia, solo perché è di estrazione cinese. Per un anno dovetti fare esercizi per le dita, tra i quali il fantomatico esercizio per l’indipendenza dell’anulare ed i solfeggi cantati e parlati. L’unica volta che potevo toccare qualcosa avente la parvenza di una tastiera, era l’organetto Bontempi, la quale forza sonora era pari a quella del fiato di un ubriaco marcio al test del palloncino. Passando sopra ai cinque anni fatti di queste delizie, le lezioni si interruppero quando ci dovemmo trasferire da Torino a Poirino, nel 1981.
Poirino… paese per me traumatico, che negli anni 80, a parte le tinche, gli asparagi e le telerie di Poirino, poteva solo esportare la nebbia.
Poirino era la morte dell’anima e dell’entusiasmo. Mentre a Torino il movimento musicale era rigoglioso e produceva nel 1983 eventi come la due giorni del festival “Rock Contro Il Nucleare“, con la partecipazione di gruppi come Franti, Blind Alley, Monuments, Chromagain, Strana Officina, Deafear, Arti E Mestieri, etc., a Poirino… nebbia.
Nonostante le difficoltà, dal 1985 ebbi modo, grazie a mio fratello Marco, di vedere diversi concerti e di condividere con lui l’avventura della creazione di una fanzina chiamata Snowdonia. Da lì ne creai altre da solo e collaborai pure con Rockerilla, Urlo, etc. Questa mia parte di, diciamo, giornalista alternativo, è sempre attiva grazie a www.chaindlk.com, sito della rivista che creai a metà degli anni 90 con Marc Urselli, oggi vincitore di due Grammy, tecnico del suono di Zorn, etc (www.marcurselli.com).
Maurizio Pustianaz, la Mutazione.
Tornando al 1984. La scintilla che dette fuoco alla miccia di Gerstein, fu un programma radio chiamato “Decoder“, condotto da Marco Farano e Marco Isnardi, sulle frequenze di Radio Torino Popolare. Quella radio, insieme a Radio Flash, fu molto importante per me e per Torino tutta. Per me, per “Decoder” ed il programma condotto da Aldo Chimenti (nota firma di Rockerilla) e Massimo Caporale, ma anche per un’altra trasmissione chiamata “Tracce”, condotta da Fabrizio Della Porta e Gilberto Maina. “Tracce” era dedicata esclusivamente alla musica italiana e trasmetteva demo ed uscite di tutti i gruppi wave et similia, di quel periodo. A tutt’oggi sono amico di Fabrizio e un paio di anni fa, abbiamo curato insieme il doppio CD compilation “391 Piemonte“, pubblicato dalla Spittle. In quei CD potete trovare un buon spaccato della Torino e del Piemonte degli anni 80.
“Decoder“, dicevo… “Decoder” era un programma che trasmetteva musica per allora inusuale ed estremista: Vivenza, Club Moral, Asmus Tiechens, Psychic TV e tanto altro. I due Marco, un giorno dissero che accettavano dei demo, così iniziai a registrare in modo totalmente casalingo, i primi pezzi di Gerstein.
All’inizio, insieme all’organetto o al piano, si potevano trovare, come sottofondo, cut up sonori presi dalla televisione oppure oggetti casalinghi percossi o trattati. Nelle mie cassette risalenti al 1987/89, ad esempio, ho usato: un trapano che sfregava il fondo di una pentola metallica, oggetti ritrovati in una soffitta percossi (compreso un motore di una vespa), il ripiano di un lavello sfregato e registrato da dentro il mobile, un disco di cartone con un solco inciso con un ago e suonato con un vecchio giradischi e tanti film (tra i tanti “Il bacio della pantera” e “Terrore cieco”).
Il primo periodo, a parte la k7 “Phlegmaticus” (la quale è la registrazione di un concerto fatto con Marco Farano e con l’aiuto di Marco Milanesio dei DsorDNE al mixer/effetti e per la quale ho usato un synth imprestato), vede il pianoforte come strumento principale.
Arrivati a questo punto, devo fare una precisazione: tutto quello creato come Gerstein è frutto di improvvisazione. E’ grazie a questo processo che mi sono liberato di energie che se fossero ristagnate mi avrebbero portato ad atteggiamenti estremi. Non sto parlando di autolesionismo o cose del genere, ma di sicuro sarei stata una persona rancorosa ed arrabbiata.
La rabbia c’è ancora, ma come dice anche John Lydon nel titolo del suo libro: “La rabbia è un’energia”.
GERSTEIN
Il processo partì dalla scelta del nome. Gerstein fu scelto aprendo a caso una pagina di un libro di racconti di Edgar Allan Poe. Il racconto in questione era “Metzengerstein“, ma trovando il nome troppo lungo (anche se oggi qualcuno lo usa), optai per Gerstein. Tutto nasceva dall’improvvisazione ed il culmine del processo fu la k7 “La pomata delle femmine”. Il titolo principale, i titoli dei brani e le spiegazioni degli stessi furono scelti aprendo a caso il “Libro dei morti degli antichi Egizi” delle edizioni Athanor. La pomata ivi citata, era un unguento che serviva nella fase del passaggio all’aldilà.
Per questa uscita decisi di estremizzare il mio “essere tramite”, componendo le suite al buio per poi aggiustarle un minimo, successivamente. Solo il sesto ed ultimo pezzo non fu parte di questo processo, in quanto usai un synth monofonico della Yamaha e la batteria elettronica Roland TR606 imprestatemi da Ezio Albrile, al tempo attivo con il nome NUN ed artefice di un tipo di industrial elettronico ipnotico e primitivo.
Dopo questa cassetta entrai in crisi e pensai che Gerstein non avesse più nulla da dire. Un anno dopo, invece, registrai delle ballate per pianoforte aiutato dalla mia ragazza di allora. Il vero cambiamento avvenne quando entrai in possesso di un registratore a quattro piste della Yamaha, comprato insieme ad altri due ragazzi (Salvatore Oppedisano e Davide Venturino) con i quali suonavo il basso in un gruppo di rock demenziale chiamato Oppe E I Lupi. Con questo prodigio della tecnologia, finalmente ero in grado di registrare più parti, di cancellare e rifare, usare più voci, chitarre, basso e batteria… tutto e di più.
Posso sintetizzare il mio percorso successivo, parlando di tre album.
“Sucker” (1993): parte dei pezzi presenti in “Sucker” uscirono in Francia per la Dedali Opera nella cassetta “A kindly method of living”. I pezzi di questo disco riflettevano la mia situazione emotiva dell’epoca. Tra amori difficili (sfociati dieci anni dopo in un suicidio) o lontani (Tunisia) e tormenti personali, i pezzi di questo disco suonano personali ed in un certo senso anche pop. Come dicevo, l’utilizzo del registratore multi traccia mi fece cambiare metodo compositivo e mi permise di avere il piano insieme al basso, alla batteria elettronica, alla chitarra ed alla sovrapposizione di due piste di voce (entrambe mie). Certi pezzi sono ispirati a David Sylvian ed altri cercano di ricreare un certo ambiente sonoro dove i rumori sono stati sostituiti da tappeti sonori più “fluidi”.
“St. Anthony’s fire” (1996): qui entra in scena la mia prima tastiera. Una workstation della Yamaha, la SY77. Grazie al fatto di avere a disposizioni sia suoni elettronici che strumenti classici campionati, registrai pezzi dove l’elettronica, il chitarrismo industriale (leggi Godflesh) e le atmosfere da colonna sonora si fondevano creando pezzi particolari. Grazie all’aiuto di Johnny Mastrocinque al campionatore, il tutto suonava ancora più eterogeneo. Johnny da anni è un nome importante nell’ambito hip hop italiano. Gestisce un etichetta, fa il dj, ha creato “Tecniche perfette”, il primo e unico contest dove rapper si sfidano con le rime ed è stato tra i creatori del programma di MTV, “MTV Spit”.
“Arise of a bleeding rose” (2009): uscì per l’etichetta israeliana The Eastern Front, gestita da due ragazzi russi, Igor e Tanya. I dieci pezzi sono una collaborazione con Gregorio Bardini (Thelema, Tuxedo Moon, Kino Glaz, T.A.C., etc). Ho composto dieci pezzi elettronici senza dimenticare il mio amato piano, avendo in mente la colonna sonora di “Inferno” composta da Keith Emerson. Gregorio ha aggiunto la voce in quasi tutti i pezzi ed essendo un professore di flauto traverso (inoltre ha studiato anche musica Euroasiatica ed ha una pletora di altri strumenti a fiato che padroneggia) abbiamo accoppiato l’elettronica a suoni meno convenzionali.
Se siete curiosi di scoprire il mio percorso, tra un mese uscirà una mia compilation che copre 32 anni di musica come Gerstein (negli anni ho iniziato anche altri progetti musicali ed attualmente sono attivo anche con Noisebrigade ed A New Life) ed è disponibile all’indirizzo gerstein.bandcamp.com
Si intitola “32 Years Of Rain” e contiene un brano per ogni uscita ufficiale, tranne le ultime due k7 uscite per Luce Sia, perché sono uscite da poco ed inoltre volevo avere spazio per inserire tre pezzi inediti.
Potete avere più notizie su Gerstein e sugli altri miei progetti musicali, sul mio sito www.noisebrigade.org.