Un altro grande cuoco della Torino risorgimentale di cui vogliamo raccontarvi é Francesco Chapusot.
Francesco Chapusot, troppo spesso dimenticato anche lui come il Vialardi, ha lasciato un’impronta importante nella gastronomia del XIX secolo.
Nativo di Plombières-les-Dijon fu capocuoco di Ralph D’Abercromby ambasciatore d’Inghilterra a Torino dal 1841 al 1851.
Il suo trattato dato alle stampe nel 1846 “La cucina sana, economica ed elegante secondo le stagioni” era composto da quattro fascicoli o dispense di circa 150 pagine cadauno e come specificato nel titolo stesso, uno per ogni stagione, inverno, primavera, estate e autunno.
La pubblicazione di ogni singola dispensa avviene in tempi successivi, in concomitanza appunto con il corrispondente periodo, ed arricchita da più litografie che illustravano preparazioni decisamente coreografiche.
L’ impostazione stagionale, unica nel suo genere, permette la coerenza delle informazioni fornite con la realtà della stagione, ogni fascicolo era composto da diverse minute e dalle relative ricette; erano inoltre presenti “schede tecniche” riguardanti soprattutto le carni ed i pesci, ma anche uova e pasta.
Mentre nel trattato del Vialardi si evince un’impronta contadina radicata nelle sue origini, Francesco Chapusot tralascia le ricette popolari, come ad esempio tutte le preparazioni a base di carni che oggi troveremmo a dir poco strane (riccio, lontra, ecc), per privilegiare i piatti di carattere più internazionale senza però disprezzare la cucina regionale.
La sua scelta delle carni rispecchia un gusto tipicamente piemontese (ovviamente di quel periodo), Francesco Chapusot apprezzava particolarmente la carne di bue ritenuta più nutriente e salutare mentre il maiale viene da lui definito pesante e riscaldante.
Nel fascicolo relativo all’inverno troviamo una serie di piatti tipici piemontesi come finanziera, agnolotti e consommé.
Particolare apprezzamento viene dato agli asparagi, viene riproposto il riso e citata anche la lampreda (lamprè) pesce d’acqua dolce ormai quasi estinto. Anche Francesco Chapusot, come il Vialardi dà particolare risalto a brodi e zuppe, le rane vercellesi così come il vitello entrano nella categoria dei brodi destinati alla cura dei malati.
Ritroviamo il Piemonte anche nella negativa descrizione dell’olio dove egli specifica che “comunica ai cibi un non so che di nauseante per chi non è avvezzo” e nelle tipiche espressioni dialettali come tomatiche (i pomodori, Chapusot li chiama anche pomi d’amore), persi (le pesche), portugal (l’ arancia), pruss (le pere) ed espressioni tipiche come fè passé par el siass (setacciare).
Francesco Chapusot
È curioso notare che ogni dispensa pubblicata ha una “introduzione” che specifica una serie di accorgimenti al fine di avere una cucina igienistica “raccomando, prima d’ogni cosa, al cuoco una gran mondezza sì ne’ suoi abiti e nelle sue abitudini, come negli utensili di cui servirsi” e ancora ” il cuoco è, mi sia lecito così esprimermi, il boia o il medico della casa“
Degni di nota sono gli inserimenti che oggi definiremmo “commerciali”, sparsi nel testo, dove il cuoco francese indica i commercianti migliori per reperire i cibi di cui servirsi.
Citazioni specifiche come il rinomato manzo del Signor Casalegno a Porta d’Italia (attuale Porta Palazzo), i Signori Boggio di Porta d’Italia ed il Signor Buggia a Porta Nuova, i posti migliori dove rifornirsi per la carne di vitello affermando che “senza buone carni non è da sperar buona cucina“.
Indica altresì la Casa di commercio Berutto, Frachia e Comp. sotto i portici di Piazza Castello, per acquistare le stoviglie.
Tutte queste indicazione potremmo definirle utili per avere le migliori materie prime, sia per gli alimentari sia per le attrezzature (non dimentichiamo che allora uno dei problemi più difficili da gestire era la presenza del verderame negli utensili da cucina), ma Francesco Chapusot si spinge ben oltre scrivendo che “per abbellire alcuni piatti è opportuno infliggervi artistici spiedini: niente di meglio di quelli prodotti dal signor Leprotti argentiere che ne fa di bellissimi a prezzi contenuti e, per chi non può spendere, dei modelli argentati a sfoglia” …Che dire!
L’ultima presentazione commerciale che vogliamo citarvi riguarda lo stesso Francesco Chapusot, nella prefazione del capitolo della primavera, parla di un fornello sul quale sta lavorando per la messa a punto e del quale manda alle stampe anche una litografia, e che a richiesta è disposto a fornirlo a chiunque lo voglia: “il potagè“.
Concludiamo citando il suo pensiero rispetto agli altri libri di cucina “Uno de’ maggiori difetti de’ libri di cucina è di riboccar di ricette o simili o sì poco fra loro diverse che egli è tutt’uno, e un puro imbratto di carta, senza che il cuoco v’impari un’acca di più di ciò che sapeva prima […] e si guarderà bene dall’immaginarne di nuove, e cadrà in quel pedantissimo che uccide ogni facoltà inventiva, ogni sicurezza nel maneggio dell’arte“.
Chissà cosa penserebbe del bombardamento mediatico sul tema cucina dei giorni nostri…