Il tribunale dell’inquisizione nella città di Torino approdò più tardi rispetto all’istituzione del Sant’Uffizio da parte della Santa Sede.
L’inquisizione prese forma nel concilio di Verona presieduto da Papa Lucio III e dall’Imperatore Federico Barbarossa con la decretale “Ad abolendam diversarum haeresum pravitatem” nel 1184 per reprimere i movimenti “riformisti” di catari e patarini diffusisi tra la Francia ed il nord d’Italia e fu perfezionata successivamente da Innocenzo III e dai suoi successori. Fu infatti Innocenzo IV ad autorizzare l’uso della tortura e Giovanni XXII ad aumentare il potere dell’inquisizione nella lotta alla stregoneria.
Nel 1231 Papa Gregorio IX affido l’incarico di giudice inquisitore dapprima a membri dell’ordine cistercense e successivamente ai Frati Domenicani e Francescani; nello stesso anno l’Imperatore Federico II introdusse la pena di morte al rogo per gli eretici “in cospectu populi comburantum” (siano bruciati alla presenza del popolo).
Il temuto tribunale approda nella città di Torino nel 1257, a seguito dell’aumentare delle comunità Valdesi e Albigesi, insediandosi nella Chiesa di san San Domenico costruita dai frati domenicani arrivati a Torino nel 1227 con l’adiacente convento dove, in un ala verso via Bellezia, avevano sede tribunale e prigioni. Fino ad allora l’inquisizione piemontese si avvaleva di giudici provenienti dalla Lombardia o dal Delfinato francese.
Il Sant’Uffizio della città di Torino non fu tra quelli più rigidi, nonostante le oltre ottanta condanne al rogo, anche per le reazioni dei locali che non approvavano i metodi poco ortodossi adottati dagli inquisitori. Le sentenze erano piuttosto di tipo pecuniario, la condanna il più delle volte o comportava una sanzione monetaria piuttosto onerosa o l’esproprio dei beni del condannato che venivano successivamente spartiti tra Stato e Chiesa.
Durante il regno di Amedeo VIII di Savoia il tribunale ottenne più poteri e divenne ancora più aggressivo con Lodovico di Savoia che concesse pieni poteri al padre inquisitore nel 1462.
Il tribunale dell’inquisizione a Torino era composto da religiosi e da membri laici scelti direttamente dal Duca di Savoia. Il rapporto tra i Savoia e l’inquisizione non fu mai dei i più idilliaci, le divergenze tra poteri erano quasi una costante così come le lotte di prevaricazione tra religiosi e laici; molto spesso gli inquisitori agivano senza consultare le autorità laiche causando ripetuti conflitti ai vertici del potere.
Molti i condannati dal tribunale dell’inquisizione di Torino venivano macabramente uccisi nell’attuale Piazza Castello. Qui ricordiamo i valdesi Golla Elia e Paolo Rappi arsi vivi, Bartolomeo Hector venditore ambulante valdese impiccato e arso, e Goffredo Varaglia valdese ex frate cappuccino e teologo. Il tribunale dell’inquisizione della Città di Torino nel 1728 processò e condanno ad abiurare il calvinismo ed a convertirsi alla religione cattolica il giovane Jean Jacques Russeau.
Anche gli inquisitori stessi non ebbero vita facile, si ha notizia che il Beato Pietro Cambiano di Russia, padre inquisitore a Torino dal 1361, fu brutalmente ucciso a Susa nel 1365 da alcuni eretici e che altri membri dell’ordine subirono la stessa sorte.
Nel gennaio del 1799 tutti i tribunali dell’Inquisizione del Piemonte vennero aboliti da un decreto sabaudo, gli archivi furono sigillati e tutti i loro beni confiscati dallo Stato.
Il 21 ottobre del 2000 il Comune di Torino posò una targa dedicata alla memoria del pastore valdese Goffredo Varaglia.
La targa è situata in piazza Castello, dove il 29 marzo 1558 fu impiccato e arso sul rogo.