“Santa borraccia! Sia benedetto chi t’ha inventata”. Così scrisse negli anni Trenta del secolo scorso il corrispondente di guerra Virgilio Lilli, in uno dei suoi articoli per il Corriere della Sera sulle vicende dei militari italiani impegnati in Etiopia. Ma chi non ha mai usato questa esclamazione durante qualche lunga scampagnata estiva? A chi si deve l’invenzione di quest’oggetto capace di riportare a nuova vita le gole secche di severi soldati e gioiosi gitanti?
Tutto ebbe inizio a Sambughetto (NO). In questo minuscolo paese della Valle Strona, nacque nel 1797 l’artigiano Pietro Guglielminetti. Era un tipo assai creativo… pensate che inventò la prima autovettura circolante per Torino (ben prima della carrozza Bordino!): il “carro volante”, una macchina mossa dall’uomo grazie a un meccanismo di leve e ruote dentate. Nel 1826 lo presentò all’Accademia delle Scienze per ottenere il brevetto, che però non gli venne concesso. Accantonato il sogno di produrre carri volanti e lasciato nel 1830 Sambughetto, si stabilì intorno al 1850 a Torino. In Via Cappel Verde aprì, con i figli Ambrogio, Giacomo e Lorenzo, una bottega specializzata in articoli militari. Fu proprio in questi anni che mise a punto un’altra invenzione, questa volta vincente: un piccolo contenitore portatile in grado di mantenere fresca l’acqua. Era nata la borraccia.
La borraccia Guglielminetti, poco ingombrante e molto robusta, era formata da otto doghe in legno trattenute in alto e in basso da cerchi di giunco. Anche il tappo e il beccuccio da cui usciva l’acqua erano in legno. Piana da un lato per essere adagiata al fianco e curva dall’altro, era fatta a tutta mano, tracolla compresa. Un oggetto così interessante non sfuggì all’attenzione del Ministero della Guerra. Dal giugno 1853 la borraccia Guglielminetti entrò a far parte ufficialmente dell’attrezzatura dell’esercito del Regno di Sardegna. Per Pietro e famiglia iniziò il periodo delle vacche grasse. Nel luglio 1853 i Guglielminetti fornirono all’esercito oltre 7.000 borracce. 10.000 nel 1855, in occasione della guerra in Crimea. E via di questo passo fino all’unità d’Italia e oltre. La borraccia fu adottata anche dagli eserciti inglese, francese, russo e argentino. Nel 1861 Pietro poté comprare per la sua famiglia una proprietà in Borgo San Donato, che fu ingrandita con l’aggiunta di un’officina. E poi altre case, terreni, titoli…
Pietro morì nel 1873, felice di aver sfondato. L’attività fu continuata dai figli, che inventarono una seconda borraccia più funzionale: tratta da un pezzo unico in legno, con cerchi e tappo a vite in metallo, dal 1876 fu usata dal Ministero della Guerra. Nel 1884 La Ditta Fratelli Guglielminetti ottenne anche la medaglia d’oro all’Esposizione Generale di Torino, nella categoria “Industrie degli utensili e dei mobili in legno”. Ma con l’avvento della prima guerra mondiale l’azienda entrò in crisi: la borraccia in legno fu sostituita da quella in alluminio, più leggera e piccola. Nel 1918 la ditta chiuse i battenti, forse anche per lo scarso interesse delle nuove generazioni a proseguire l’attività.
Un’illustre discendente dell’inventore della borraccia è stata Amalia Guglielminetti (1881-1941), poetessa icona di stile nella Torino di inizio ‘900. Pietro fu il bisnonno di Amalia. La poetessa ricordava che in casa sua si trovava un mobile in cui erano esposte varie borracce militari, tra cui quella “soldatesca, da un litro, in legno di pioppo, col tappo a vite e il pispolo di legno da cui suggere direttamente con le labbra avide di frescura”. Il nonno Lorenzo, “poco comunicativo, in qualche ora di serenità che gli concedeva la vecchiaia angustiata dalla morte del figlio” (Pietro, padre di Amalia, morì a 28 anni di broncopolmonite), le narrava spesso “un episodio che lo induceva a sorridere di orgogliosa compiacenza”… Nel 1865 Vittorio Emanuele II si recò alla caserma Cernaia. Durante la visita, chiese ad un soldato sbarbatello quale fosse l’oggetto più importante dell’equipaggiamento militare. Il ragazzo rispose senza pensarci due volte: “La borraccia, perché mantiene fresca l’acqua e calma la sete”. Il re, che pensava fossero ben più rilevanti le armi, chiese allora di vederla questa borraccia. Ci bevve su e disse: “A l’à rason el soldà. L’acqua a l’è propi fresca”. Tra il codazzo che seguiva il sovrano c’erano anche i fratelli Guglielminetti, che osservarono tutta la scena trattenendo il respiro. Il giorno dopo fecero subito recapitare al re la famosa borraccia, verniciata in verde con tappo a vite in metallo e tracolla in cuoio. Amalia affermava che Vittorio la usò sempre durante le sue battute di caccia.
Non dobbiamo fare troppo gli sboroni, per carità, ma che ci possiamo fare?Anche la borraccia è una delle tante invenzioni piemontesi che hanno valicato i confini dell’Italia… un bel trionfo per noi e per la famiglia di quel semplice artigiano montanaro originario di Sambughetto!
L’ immagini della borraccia Guglielminetti ci sono state gentilmente concesse da ZONA900 che ringraziamo.
L’ immagine “Amalia Guglielminetti”. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikipedia