La Grande Peste Nera del 1630 a Torino

La Grande Peste Nera del 1630 a Torino

Sulla Peste del 1630 a Torino sappiamo che morirono dalle 8000 alle 11000 persone in base al campione che decidiamo di analizzare, ma sappiamo poco su cosa avvenne in quel fatidico anno.
Conosciamo i nomi di chi è restato in città a gestire l’ emergenza come Bellezia e Fiochetto, sappiamo che le famiglie nobili e aristocratiche scappavano a molti kilometri di distanza e sappiamo che la povera gente moriva come moriva chiunque, all’improvviso . . . il corpo ricoperto di tacchi, bubboni e . . . . .
Il cardinale Maurizio di Savoia non era indifferente alle condizione di quelli che lui chiamava ‘povera gente’ e, quando le autorità decisero di espellere dalla città mendicanti, poveracci e i più miseri dei miseri, non esito a stampare moneta per dare qualche soldo che alleviasse gli ultimi giorni di vita dei forestieri. I Torinesi, invece, potevano contare sull’ aiuto del municipio.

Che c’era qualcosa che non andava lo si era capito il 5 gennaio del 1629 quando, durante la seduta municipale, il ‘medico chirurgo civico’ informava  il consiglio che all’ospedale dei poveri erano presenti molti ammalati con evidenti segni sul corpo della peste: tacchi e bubboni.
Chi erano?
Poveri che in città trovavano sempre un torinese disposto ad alleviare le loro sofferenze, erano forestieri arrivati in città per scappare dalle truppe mercenarie tedesche. Questi soldati oltre a combattere al soldo del duca sabaudo razziavano tutto ció che trovavano sul loro cammino e, probabilmente, contribuirono a portare la peste dai territori milanesi. Ma non solo . . .
A Susa premevano i francesi, che al pari dei loro nemici di battaglia, non erano troppo gentili con i valsusini. Gli abitanti della valle furono così costretti a spostarsi verso la città portando con loro il morbo che, arrivato forse dalla Francia, si dirigeva verso Torino; l’ anno precedente si era concluso con i frati torinesi che si dirigevano in Val di Susa per aiutare, appunto, i malati di peste.
Capita la gravità della situazione, il comune decide di spostare i malati al San Lazzaro e inizia la distribuzione di 1000 pasti al giorno per i più poveri nella speranza di contenere il morbo e alleviare le sofferenze della ‘povera gente’.

L’ autunno inizia con la notizia di due forestieri morti con tacchi nel corpo ad Orbassano e di focolai di peste a Brianson, Chiomonte e San Michele.
L’ opinione diffusa che la peste arrivasse dalla Francia e i consigli del protomedico Fiochetto suggeriscono al consiglio comunale, presieduto da Bellezia, di adottare provvedimenti urgenti: dal mese di novembre è impossibile entrare in Torino senza una bolletta di sanità che indichi caratteristiche fisiche della persona e l’ indicazione di essere sano nel paese di provenienza; non può entrare in città la merce proveniente da Susa, i privati non possono ricevere visite e le sepolture devono avvenire fuori città.

Arriva la Peste

Il 1630 inizia con ‘Guglielmo Calzolaio abitante  presso il Guanto Rosso’ identificato dal Fiochetto  come ‘Franceschino Lupo’: è il primo caso di peste certificato a Torino*.
Ad aprile la situazione precipita: il miglioramento delle condizioni climatiche favorisce la diffusione del morbo. Il 17, dello stesso mese, il Magistrato di Sanità, preoccupato della velocità con cui si diffonde la malattia, decide di espellere tutti i mendicanti dotando loro di 200 fiorini; anche il cardinale Maurizio di Savoia si interessa del problema ordinando il conio di nuova moneta non disponibile in città.
All’ interno delle mura rimangono solo i torinesi che, arrivata la stagione calda, cominciano a morire in centinaia ogni giorno. Il panico si diffonde trovando terreno fertile nell’ ignoranza, qualcuno da bruciare con l ‘ accusa di unzione lo si trova sempre e tale pratica facilità il mantenimento dell’ ordine pubblico.  I roghi pubblici diventano anche un modo liberarsi dei corpi che cominciano ad accumularsi ai bordi delle strade: é ben documentato il caso di Francesco Giugulier che viene bruciato in piazza castello sopra una catasta fatta dai cadaveri sparsi nella piazza, avvenimento che causo anche le protesta da parte del popolo ma  . . .  cosa doveva o poteva fare il sindaco Bellezia?

Mentre i duchi e la nobiltà cittadina scappavano dalla città, lui continuava a combattere contro la peste e in particolar modo contro l’ ignoranza e la cattiveria umana che nelle situazioni difficili esplode in tutta la sua crudeltà. Furti, omicidi, sostituzione di identità, adulterio, paura, vigliaccheria si impadroniscono della città e costringono il sindaco a emanare giornalmente una nuova disposizione per mantenere l’ ordine.
Nonostante il forte impegno di Bellezia, del protomedico Fiochettto e dei pochi uomini municipali rimasti in città il morbo decima la popolazione torinese. In un anno la popolazione passa da 11000 a 3000 anime e quando il morbo comincia ad essere sotto controllo oramai e troppo tardi.
Non esistono più attività commerciali e laboratori artigianali, i frati e gli uomini di chiesa sono tutti morti colpiti anche loro dal morbo durante la loro opera di aiuto alla città e i lazzaretti sono diventati cimiteri a cielo aperto.

Ai pochi cittadini rimasti vivi spetta il compito di risollevare le sorti della città diventandone padroni per poco tempo. Finita l’ emergenza, la nobiltà torna in città ripristinando la solita vita,  i saltimbanchi tornano ad animare le piazzette cittadine, le porte della città vengono riaperte ricominciando ad attrarre i mendicanti che trovano nei torinesi la generosità che distingueva la ‘povera gente’ delle piccole strade di una Torino che non esiste più.

* Esistono varie interpretazioni sul primo caso di peste a Torino. La peste girovagava nei territori sabaudi già dal 1629, arrivando molto vicina alle mura della città. Sappiamo che nel 1629 alcune persone erano state condotte a morire di peste nei lazzareti  e sappiamo che un probabile caso era stato registrato in via Dora Grossa.  Si riportano varie date e le più attendibili ci sembrano quelle riportate da Vincenzo Claretta che possiamo riassumere in questo modo: 6 gennaio il medico Zurlino informa il municipio di un calzolaio sospetto di avere il morbo, il 12 gennaio Bellezia invia Fiochetto a verificare la presenza della malattia, il 14 gennaio il Sindaco informa la congrega che è stato registrato il primo caso del 1630 di peste a Torino.

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