L’ estate torinese del 1630 narrata dal Fiochetto racconta una Torino che mai potremmo immaginare e, forse a causa della vergogna, si evita di descrivere. Il problema non è tanto il fastidio di immaginare via Dora Grossa ricoperta di cadaveri in putrefazione ma il dover osservare come, nei momenti peggiori, anche l’ uomo tira fuori il peggio di se.
Si salvi chi può
Al duca il merito di essere stato tra gli ultimi a lasciare Torino quando oramai la situazione era prossima al peggio. Prima di lui la nobiltà aveva abbandonato la città portando via tutto quello che poteva e gli uomini del consiglio comunale, neanche il tempo di essere eletti, lasciavano la città. Per arginare la fuga dei Torinesi il duca fu costretto ad emanare un piccolo editto che minacciava la confisca dei beni a chi lasciava la città. La povera gente invece passava per la frusta anche se c’erano delle eccezioni: vista la gravità della situazione erano esonerate le donne e i bambini essendo le sofferenze della morbo già sufficienti come pena.
La selezione
Il numero di cadaveri ai bordi delle strade aumentava di giorno in giorno. I beccamorti, pagati dal comune, colsero subito l’ occasione per guadagnare qualche soldo in più raccogliendo solo i defunti che avevano i familiari ancora in vita e disposti a cedere qualche soldo per far portar via il loro caro.
Bellezia dovette intervenire minacciando pene severe ai beccamorti che prendevano soldi o sceglievano i cadaveri in base allo stato di decomposizione, che se in stato avanzato perdevano pezzi durante il carico sul carretto.
Troppi
Nei momento peggiori sembra che i cadaveri ammassati arrivassero al primo piano delle abitazioni, venivano gettati direttamente in strada dalle finestre finchè c’erano familiari in casa ma poi anche loro morivano. Per le strade non c’ erano abbastanza beccamorti e anche loro perivano, tanto che il duca decise di offrire due dei suoi schiavi di colore per la raccolta.
Quando la peste cominciò ad allentare la presa, pulite le strade si passo a sanitizzare le case che da mesi erano visitate da ladri e miserabili.
Sotto lo stesso tetto
É forse impossibile capire cosa succedeva in quei giorni ed è forse ancora più difficile accettare che la vita era molto diversa da oggi: tra la povera gente perdere un familiare voleva dire non poter più mangiare e perdere il marito voleva dire morire di fame. Nei mesi che precedettero il culmine della pestilenza, quando moriva l’ uomo di casa non passavano neanche 24 ore che un altro uomo si sostitutiva nel suo letto. Il limite si tocco quando la sostituzione avveniva in tempi troppi brevi e sospetti costringendo il sindaco a vietare l’ abitudine con le consuete frustate.
Le campagne
Nelle campagne si moriva per due motivi, o per la peste o per i mercenari sabaudi. In prevalenza tedeschi, questi soldati si spostavano di cascina in cascina uccidendo tutti gli abitanti e stazionando all’ interno finche non consumavano tutte le provviste. Spostandosi da una cascina all’ altra lasciavano dietro di se tanti di quei cadaveri che non fu possibile seppellirli essendo piú veloce e sicuro buttarli direttamente nel fiume Po. Come se ciò non bastasse, nei pressi di quella che oggi è Vanchiglia, un accampamento di soldati tedeschi costrinse il municipio a scendere ad accordi per far passare il grano che la città aspettava.
Le Paure del duca
Prima di darsi alla fuga, giustificata dagli impegni che il ruolo esigeva, il duca cerco di convincere il sindaco a far entrare in città i mercenari al soldo della corte. Conoscendo l’ odio dei cittadini nei loro confronti, Bellezia preferì provvedere al pagamento di 300 cittadini per difendere la città. La situazione era talmente grave che non era consigliabile avere in città soldati stranieri che si sentivano padroni di dire, fare e volere qualsiasi cosa. Il popolo li temeva e li odiava e Bellezia non poteva permettere il loro ingresso in città nonostante, una Torino indebolita, era facile preda dei francesi che avrebbero potuto entrare ed impadronirsene. In realtà i soldati francesi erano impegnati ad emulare i mercenari tedeschi nelle campagne all’ esterno di una Torino che cominciava ad avere piú cadaveri che vivi.
Numeri
11000 abitanti prima della peste meno 3000 abitanti alla fine della peste fa 8000 anime. Il conteggio si riferisce con tutta probabilità alle persone all’ interno delle mura Torinesi e nei lazzareti nelle immediate vicinanze. Il calcolo non tiene conto di tutte le persone morte, nelle campagne sabaude, per il morbo e per la spada dei tedeschi e dei francesi. Inoltre non considera le persone morte per la fame che circolava indisturbata, sempre nei territori sabaudi, prima, durante e dopo la peste.
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