Vittorio Emanuele II nonostante fosse un buongustaio e un buon bevitore non era un amante dei pranzi ufficiali, e nonostante fossero molto più brevi rispetto alle altre corti europee, egli viveva con impazienza e noia il protrarsi di essi.
Il più delle volte non toccava cibo e se ne stava con le mani sull’elsa della spada ad attendere il termine del banchetto, a volte sonnecchiando. In altre occasioni, magari più impaziente del solito, interrompeva bruscamente il pasto (e non solo il suo) alzandosi da tavola anzitempo.
Ci sono degli scritti che narrano di un episodio in cui il re riesce a mandare tutto a monte:
“Erano trascorsi sei minuti e il pranzo incominciava appena, quando un grido d’allarme e di terrore si sparse per la sala. Si parte, si parte, il re vuole così!”
Vittorio Emanuele si stava annoiando e indifferente alle altrui esigenze e, nonostante il disappunto generale, la campana di fine pasto si fece sentire. Il Conte d’Ideville raccontò cosí lo spettacolo:
“Il disordine fu al colmo. Gli invitati fiduciosi incominciavano già a soddisfare i primi morsi della fame quando risuonò il segnale di partenza che divenne subito quello del saccheggio. Cesti pieni di viveri, canestri di bottiglie di vino e di frutta, circolavano di mano in mano per andare ad ammucchiarsi nelle vetture. Tutti correvano inquieti e affamati, preocupandosi soltanto di provvedersi di viveri; finalmente si risalì in treno. Nel momento in cui, già chiusi gli sportelli, il convoglio stava per partire, si videro uscire dalle cucine tre robusti lacchè gallonati, con la livrea rossa di casa reale. Uno di loro mentre correva, finiva di tracannare una bottiglia di spumante; gli altri con le tasche piene di selvaggina e di prosciutto, addentavano pezzi di carne. Era uno spettacolo vergognoso, tanto più sconveniente, il guanto di sua maestà dal finestrino della sua carrozza era testimone della condotta inqualificabile del suo personale . . .”
Vittorio Emanuele II
Vittorio Emanuele II amava consumare abitualmente cibi popolari di tradizione regionale con una certa disinvoltura rispetto a posate e tovaglioli, questo ci fa immaginare di quanto autocontrollo avesse bisogno nelle occasioni pubbliche.
Tra i piatti che il Re prediligeva ricordiamo: il gran bollito misto alla piemontese, stufati, arrosti, cacciagione alla brace ed al civet, tajarin, fonduta senza dimenticare la bagna càoda ovviamente con solo aglio, olio e acciughe.
Ottimo bevitore apprezzava particolarmente i vini corposi, primo fra tutti il Barolo.
A proposito del bollito, Vittorio Emanuele II, spesso scappava dalla noiosissima Corte di Torino, dove il rigore dell’etichetta lo obbligava ad indossare rigide uniformi ed a seguire l’ufficialità del protocollo, per rifugiarsi a Moncalvo dove poteva godere al meglio delle sue passioni: andare a caccia, fruire di amori libertini con le ragazze del luogo e soprattutto mangiare con gli amici uno dei suoi piatti preferiti, felicemente accompagnato dall’ottimo Barbera.
I cibi che prediligeva venivano a volte preparati dalla cucina di corte, ma molto più spesso dalle mani della Bela Rosin, la Contessa di Mirafiori, prima amante poi moglie morganatica del Re.
Si dice che la loro unione si basasse su due motivi: passione e gastronomia; pare che fosse una superba cuoca e che Vittorio Emanuele pretendesse una costante attenzione al “regal palato“.