La frase di Massimo D’Azeglio sopracitata, rimasta la più caratteristica e celebre del Risorgimento Italiano, contiene speranze, sogni e delusioni che caratterizzano il periodo post-unitario.
L’Italia, politicamente unita a partire dal 1861, non è più solo geografica, come la definiva l’austriaco Metternich gli anni precedenti. Il suo intento era quello di bloccare la politica britannica, favorevole alla creazione degli Stato Unitari, italiano e tedesco, per bilanciare le altre potenze del periodo, francese e russa. La creazione di un forte potere monarchico-imperiale austriaco, incarnato traendo vantaggio dalla frammentazione linguistica e geografica italiana, viene sventato dall’abilità del ceto intellettuale e politico italiano.
Le figure politiche più importanti del Risorgimento sono tre: Cavour, con la sua abilità politica e diplomatica, Mazzini, con il vigore del suo idealismo e Garibaldi, con il suo carisma di comandante militare e di capopopolo. Dopo le prime due guerre di indipendenza, avviene a Torino la proclamazione del Regno d’Italia, nelle aule del Parlamento, il 17 marzo 1861; proprio quest’ultima città diventa la prima capitale del Regno, seguita da Firenze nel 1864 e Roma nel 1871. Vittorio Emanuele, «padre della patria», «re galantuomo» diventa primo Re d’Italia col titolo di Re Vittorio Emanuele II. Segue la linea dinastica continuativa dei Savoia, non la prima del nuovo regno.
Il Piemonte diventa la regione più importante, Torino si amplia, si abbellisce e diventa il centro decentrato del nuovo regno. Il Nord Italia, più vicino all’influenza della politica europea rispetto al Sud, mal governato da secoli poiché costituito dal latifondismo, ha concentrati i principali centri industriali. La mancanza di materie prime, arretratezza culturale, inadeguate condizioni igieniche e penuria caratterizzano questa prima parte di Regno. Inoltre a differenza delle principali potenze europee, nelle quali il Re regna ma non governa, nel neonato Stato Vittorio Emanuele II vuole avere il suo spazio decisionale, non figurativo.
I ministri che si susseguono hanno molteplici difficoltà nel rapporto con il sovrano, come già capitato a Massimo D’Azeglio, sostituito dal gabinetto Cavour nel 1853.
Il rapporto tra il potere temporale, incarnata dal potere regio e dai ministri, ed ecclesiastico di Pio IX, si fa delicato e fragile su questioni sociali, come la manomorta, il foro ecclesiastico, il diritto d’asilo, eliminati dal ministro Siccardi, e il matrimonio civile, eliminato per intercessione di Vittorio Emanuele.
Poste queste premesse, l’avvio del nuovo regno è difficile e fare gli italiani diventa un’impresa complessa. Il reddito nazionale procapite era la metà di quello inglese e un terzo di quello francese; a causa delle precarie condizioni di vita, molti contadini, circa il 70% della popolazione, dal 1861 al 1870 emigrano verso Germania, Francia e Stati Uniti. Maggior sensibilità e senso nazionale inizia ad emergere a partire dal 1878, quando Umberto I, figlio di Vittorio Emanuele II e Margherita diventano sovrani.
Soprattutto in meridione, maggiormente frequentato da questi ultimi, si crea un legame forte tra i cittadini e i regnanti.