Scriveva alla moglie, il padre di un ancor giovanissimo Camillo Benso Conte di Cavour.
“ Nostro figlio è un ben curioso tipo. Anzitutto ha così onorato la mensa: grossa scodella di zuppa, due belle cotolette, un piatto di lesso, un beccaccino, riso, patate, fagiolini, uva e caffè. Non c’è stato modo di fargli mangiar altro!”.
Fu un grande cultore dei piaceri del palato, amava la buona tavola ed il buon vino; possiamo tranquillamente dire che quella di Cavour era una presenza ingombrante negli equilibri politici così come in quelli gastronomici. Egli era un fervente sostenitore delle virtù diplomatiche di un buon pranzo o di un buon bicchiere, al tal fine si accertava sempre che alcune bottiglie di Barolo fossero presenti nel bagaglio dei diplomatici in partenza per le città straniere.
Cavour era un assiduo frequentatore di locali che servivano le migliori prelibatezze piemontesi come “il bicerin“, bevanda calda a base di caffè cioccolata e fior di latte, servita durante la mattinata accompagnata da fragranti paste secche i bagnà (crociòn, garibaldin, brioss, chifel, biciolàn, torcèt, parisien, forè, democratic, cicia d’monia, picòl d’frà, michette).
Il ristorante Del Cambio era frequentato quotidianamente dal politico piemontese, ancora oggi troviamo alcuni piatti che portano il suo nome, dove amava farsi servire il pasticcio di riso appunto “alla Cavour”:riso lesso, condito con burro, parmigiano e pomodori maturi appassiti in padella con l’olio, adagiato in una pirofila e messo a gratinare in forno, coperto con 3 o 4 uova al tegamino “Che il bianco sia fritto, e il rosso resti intatto e molle“. Oppure scaloppine o animelle brasate servite su crostini di polenta fritti o al forno e ancora crocchette di semolino fritte, “guarnizioni” che accompagnavano le carni arrostite; altra pietanza di cui andava ghiotto era “la finanziera“. Il Cambio ha intitolato al Conte la sua sala principale identificando il suo posto prediletto con una targa in bronzo e un nastro tricolore.
Cavour, abbiamo capito, era un estimatore dei locali della Torino del XIX Secolo, molto spesso (per preparare lo stomaco ad uno dei suoi pranzetti di lavoro) lo si trovava a sorseggiare il “vermouth” vino liquoroso aromatizzato con assenzio maggiore ed altre piante aromatiche, inventato da Antonio Benedetto Carpano nel 1786.
Questo ci fa capire l’importanza che aveva la gastronomia per il politico piemontese e la moltitudine di piatti della tradizione che portano il suo nome. È vero che in quel periodo era d’uso dedicare ai piatti nomi di personaggi storici famosi, ma nel caso di Cavour é legittimato il sospetto ch’egli amasse passare buona parte del suo tempo seduto a tavola e che, conseguentemente, alle pietanze che richiedeva più assiduamente venisse associato il suo nome.
Cavour e le metafore gastronomiche
Anche negli argomenti che con la tavola sembra non abbiano nulla a che fare, il Conte trovava sempre il modo di fare metafore attinenti alla gastronomia, un esempio su tutti è un dialogo epistolare tenutosi nel 1860 con Vittorio Emanuele II. Garibaldi aveva già conquistato la Sicilia e si stava dirigendo verso la Campania “Le arance sono sulla nostra tavola e stiamo per mangiarle. Per i maccheroni bisogna aspettare perché non sono ancora cotti” e subito dopo “lasciamo cuocere i maccheroni(Lasciamo arrivare prima Garibaldi a Napoli)“. Rispondeva il Re “i maccheroni non sono ancora cotti, ma le arance sono già sulla tavola e non possiamo rifiutarle”. Conquistata Napoli Cavour scrisse “I maccheroni sono cotti e noi li mangeremo”. Grande esempio di politica gastronomica!
Il grande amore per la gastronomia lo portò ad impegnarsi in prima persona per migliorare le materie prime prodotte nel suo Piemonte, con l’aiuto di un grande enologo francese rese il Barolo da lui prodotto a Grinzane, un vino di qualità tale da competere con i più importanti vini di Francia. Apportò innovazioni radicali in agricoltura e nell’allevamento, fondò una società d’irrigazione tutt’ora esistente e introdusse la sperimentazione di nuove macchine agricole.
Ultimo aneddoto a proposito di Cavour, dopo aver respinto l’ultimatum dell’Austria e proclamato la guerra, il 29 aprile del 1859, egli disse: “Alea iacta est (oggi abbiamo fatto la storia) e adesso andiamo a mangiare!!!”