Non c’è due senza tre! La miseria, la peste del 1630 e Ottavia Spezie.
Nel Trattato della Peste, o sia contagio di Torino dell’Anno 1630 di Giovanni Francesco Fiochetto si trova il racconto della breve permanenza torinese della signora milanese che tante promesse fece al municipio.
Forte dell’ esperienza milanese nel trattare con la peste, Ottavia Spezie riesce ad ottenere la gestione di alcuni lazzareti allestiti per soccorrere le centinaia di persone che giornalmente cercano ricovero. Incassato in anticipo il compenso dal municipio, la signora, coadiuvata dai suoi aiutanti, comincia ad accogliere malati, appestati, orfani e moribondi. Tante promesse, molte garanzie e il prestigio di una signora milanese attiva in città.
Ma c’è sempre un ma .. al municipio giungono le prime lamentele riguardo l’ impossibilità di accedere ai lazzareti perché sempre troppo affollati nonostante è più la gente che usce sopra un carro che quella che vi entra sulle proprie gambe.
Non si presta molta attenzione alle voci fino a quando la donna non viene arrestata e il Senatore Monaco decide allora di indagare sulla signora da lui descritta somigliante ad una strega. Le indagini purtroppo fanno emergere la realtà sull ‘opera di Ottavia Spezie’: sciacallaggio dei vivi e dei morti.
Nonostante la fornitura delle vettovaglie da parte del municipio e l’ impegno di accogliere e accudire chiunque si presentasse alle tende del lazzareto, la Signora ‘Ottavia’ respingeva qualsiasi persona si presentava al ricovero.
L’ unico modo per entrare ed essere rifocillati era dimostrare di avere qualche forma di bene che la signora faceva suo; anche le chiavi di casa andavano bene, le dimore erano visitate dai suoi uomini, un lavoro sicuro considerando che i proprietari erano nel lazzareto con tacche, carboni sul corpo e pochi giorni di vita.
Una volta entrati nel lazzareto i poveri ospiti venivano spogliati degli oggetti di valore, comprese le scarpe. All’ interno di una apposita stanza venivano convinti a donare i propri beni alla ‘strega’ che raggiunto lo scopo sospendeva la somministrazione delle razioni di cibo. Non contenta, o forse ghiotta di latte di Capra, sequestrava il latte municipale destinato ai bambini rimasti orfani perché ‘quando morti sarebbero stati angeli in paradiso’.
Privati del cibo e delle poche cose che avevano con se, una volta morti, i poveracci venivano passati al setaccio dagli uomini di Ottavia determinati a recuperare l’ ultima monetina che probabilmente era nascosta in qualche angolo dei vestiti.
Oltre a somigliare ad una strega ed essere uno sciacallo in trasferta, Ottavia Spezie dispensava crudeltà in modo arbitrario. Le prove raccolte dal senatore dimostrarono che un giorno, persa una capra, incolpò di furto, senza alcun motivo, un certo Giovanni Didiero di Lanzo e lo fece picchiare da uno dei suoi uomini; Il povero Giovanni spiro pochi giorni dopo per le botte.
Ottavia Spezie, la signora
Qui succede però qualcosa di strano non rintracciabile nel testo del Fiocchetto che si limita a riportare ai posteri le pene inflitte.
Erano anni durante i quali bastava poco per finire al rogo accusati di stregoneria o sopra la ruota per un semplice furto. Nonostante il popolo la volesse impiccata, la pena si limitò a una serie di frustate pubbliche con l’ invito ad andarsene e il picchiatore se la cavo con 10 anni di carcere che, per quanto duro, non aveva certo l’ esito della ruota. Sembrerebbe che abbiano goduto di un trattamento di riguardo nonostante l’ abominio della donna e del suo picchiatore.
Ottavia Spezie viene presentata come ‘Signora’ che ottiene la gestione di alcuni lazzareti e questo porta a pensare che sicuramente non era una donna del popolo ma qualche nobildonna accreditata. Non bisogna dimenticare che all’ interno della nobiltà e della aristocrazia i panni sporchi si lavavano in casa e spesso, piuttosto che accusare o dare troppi dettagli, si omettevano dalle cronache titoli o onorificenze in modo da non macchiare l’ immagine di una classe sociale che, sostanzialmente, dominava.