Pellegrino Artusi e il tentativo di unificazione gastronomica nazionale

Pellegrino Artusi e il tentativo di unificazione gastronomica nazionale

La figura di Pellegrino Artusi, originario di Forlimpopoli, piccola cittadina della Romagna vicino a Forlì, è fondamentale per comprendere il concetto di unità nazionale. Infatti:

Non si limitò a mettere insieme e codificare molte delle ricette che costituiscono ancora oggi la colonna portante della cucina della penisola, ma trasformò questi piatti, per la prima volta, nell’architrave dell’identità nazionale italiana. Artusi è stato il primo, dai tempi di Scappi, il cuoco «segreto» del papa nel Cinquecento, a cercare di far dialogare fra loro i vari dialetti gastronomici italiani. È stato anche il primo, con fermezza ma educazione, a lanciare la controffensiva contro il predominio francese in cucina, osservando con nonchalance che «la cucina italiana […] può rivaleggiare con quella francese, e in qualche modo la supera». Con La scienza in cucina, l’Italia culinaria smise di vivere all’ombra dei cugini d’oltralpe. [cit:J. Dickie]

Pellegrino, nato nel 1820, ultimo figlio del droghiere Agostino e Teresa Giunghi, vive fino a vent’anni in Romagna con sei sorelle. Il suo lavoro iniziale, commerciante come il padre, lo parte a viaggiare nelle principali città italiane, prima in calesse, poi in treno, da est a ovest dell’Appennino centrale. Durante i suoi viaggi, il commerciante romagnolo annota le principali specialità gastronomiche nelle città dove soggiorna, per piacere o per lavoro. La famiglia Artusi, derubata dalla banda di Stefano Pelloni, conosciuto in tutta la Romagna come “il Passatore”, nel 1851 si trasferisce a Firenze con le sorelle in via dei Calzaioli.
Pellegrino abita con le sorelle vicino al Mercato Vecchio, zona degradante e affollata colpita quotidianamente dalla criminalità fiorentina. Nonostante i forti odori, le scorrerie e l’elevato tasso di criminalità la sua attività commerciale procede regolarmente fino al pensionamento. Nel 1870, l’Artusi trasloca in Piazza Massimo d’Azeglio numero 25, dove tuttora è esposta una targa che segnala il luogo dove fu scritta La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Nel 1864, Firenze, situata nel centro della penisola, diventa capitale d’Italia; alla base non ci sono solo esigenze geografiche, ma anche linguistiche. Il lessico toscano- fiorentino, utilizzato allora da Manzoni nella stesura dei Promessi Sposi, vanta una lunga tradizione lessicale inaugurata da Dante, Petrarca e Boccaccio.
Il romagnolo inizia a studiare a tempo pieno la lingua fiorentina, scrive una biografia di Ugo Foscolo, edita nel 1878, e nel 1891 pubblica a sue spese l’opera gastronomica più importante dell’Ottocento: La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Nelle prime pagine l’autore ci informa di aver sottoposto il testo, dedicato ai suoi due gatti, al suo amico Francesco Trevisan, professore ordinario del liceo Maffei di Verona, che però trae un giudizio negativo sul ricettario. Artusi non si arrende ed inizia a cercare case editrici per pubblicare la sua opera, senza trovarla. L’offerta migliore arriva da un tipografo che offre L.200 per lavoro e diritti, ma alla fine il ricettario viene  stampato a spese dello stesso Artusi, che decide di stamparne mille copie a sue spese.
Il successo del libro è straordinario e in soli vent’anni vengono tirate quattordici edizioni. Le prime edizioni vengono ampliate, grazie agli ultimi viaggi compiuti in tutta la penisola, in modo autonomo dallo stesso autore, che nel frattempo aggiunge e fa provare ricette ai suoi due domestici, Marietta Sabatini e Francesco Ruffilli. Questo testo unisce tutta l’Italia culinaria, tranne Piemonte, Valle d’Aosta e Sicilia, delle quali regioni sono presenti rispettivamente solo due ricette, anche linguisticamente. Secondo Alberto Capatti, rettore dell’università del gusto di Pollenzo:

[…] come mai un ricettario interregionale, oculato (o tendenzioso) nelle sue scelte, è diventato il simbolo dell’unità nazionale? Le risposte sono molteplici. Con la sua raccolta di ricette, che si avvale, nella fase di ricerca, del treno, e, nelle ristampe, della posta, egli sposa l’ideologia della riunificazione, lasciando aperto il completamento del la Scienza in cucina al di là del suo novantesimo anno e dell’undicesima edizione. In secondo luogo, alla terra materna, preferisce Firenze, la cui centralità linguistica, il cui primato culturale rappresentano i fondamenti ideali del gusto di tutti gli italiani.[cit:Ivi, 1998]

Pellegrino Artusi e il tentativo di unificazione gastronomica nazionale

Fondamentali sono la ricerca delle ricette in tutta Italia e la lingua, studiata accuratamente per creare a tavola e nell’utilizzo degli ingredienti, un “senso” nazionale.
Nella Prefazione all’opera, Artusi critica i libri italiani precedenti al suo, accusandoli di essere comprensibili solo a una fetta della popolazione e fallaci poiché privi di spiegazioni esaustive. Passione e ricerca di materia prima di qualità sono i due ingredienti per rendere la cucina eccellente e per fare bella figura. Dopo la prefazione, lo scrittore di Forlimpopoli aggiunge “alcune norme di igiene” per mantenersi in salute e aiutare lo stomaco a rimanere in forma e a digerire meglio. Infine tratta le ricette nel dettaglio, aggiungendo anche alcuni aneddoti prima di addentrarsi nelle dosi e nella preparazione degli ingredienti.
Questo metodo ha influenzato, oltre ai manuali, la nascita delle principali riviste gastronomiche del Novecento, ancora oggi pubblicate, come la Cucina Italiana, e ha fatto appassionare moltissimi lettori e lettrici. Sorge infine, con maggior distinzione, la figura della massaia che si rivelerà nel secolo successivo una figura chiave negli ambienti borghesi. Il lavoro di Pellegrino Artusi si afferma non solo tra le borghesie cittadine ma anche tra le classi popolari: secondo Pietro Meldini: «non c’è ricettario italiano successivo, fino agli anni quaranta, e oltre, che non si misuri con il modello artusiano». Infine, il contributo italiano della Scienza in cucina è stato importantissimo per creare i primi italiani, che secondo D’Azeglio si dovevano «fare», e si è riuscito a creare un codice di identificazione nazionale, alla pari del lavoro restituito da Manzoni.

Immagine: Di Italo Vagnetti – Opera propria, Pubblico dominio, Wikipedia
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