Dopo la prima metà dell’ottocento l’area compresa tra corso Regina Margherita e corso San Maurizio, complice il trasferimento della capitale prima a Firenze e poi a Roma, ha subito uno radicale trasformazione urbanistica; la necessità di trasformare la città e dargli una connotazione “industriale” ha fatto si che nell’area compresa nei quartieri Vanchiglia e Vanchiglietta sorgessero un considerevole numero di manifatture ed opifici, complice soprattutto la conformazione idrogeografica del territorio. La Dora e soprattutto il canale della Ceronda sono in grado di dare la forza motrice alle turbine idrauliche necessarie a far funzionare gli opifici e il borgo ben presto prende il nome di “borgh del fum” per via della moltitudine di ciminiere sfumacchianti che svettano tra le vie.
Tra le aziende in forte espansione nella zona non possono mancare le fabbriche di cioccolato, tra cui la Venchi.
Il sedicenne Silvano Venchi inizia come apprendista alla Baratti & Milano, dopo pochi anni, nel 1878, apre una piccola azienda tutta sua in via degli Artisti.
Ben presto lo spazio diventa insufficiente e per far fronte alle sempre maggiori richieste, nel 1907, il giovane cioccolatiere incarica l’architetto Pietro Fenoglio di progettare la nuova fabbrica.
L’azienda di circa 12,000mq impiega cinquecento operai, le nougatine di Silvano spopolano, e la popolarità dell’azienda cresce.
Nel 1934 la Venchi si unisce con un’altra grande azienda torinese del cioccolato la Unica, ma l’arrivo della seconda guerra mondiale blocca la crescita dell’attività. Nel 1938 il fabbricato è espropriato dall’esercito per trasformarlo in opificio dedito alla lavorazione del cuoio per la produzione di calzature per i soldati.
Finita la guerra la Venchi trasferisce la propria sede in località Pozzo Strada e poi a Cuneo riprendendo la produzione di cioccolato, caramelle, confetti, dolciumi e soprattutto le nougatine che ancora oggi conosciamo e soprattutto apprezziamo.
L’edificio di corso Regina Margherita l’11 settembre del 1943 è stato teatro di una terribile rappresaglia dei tedeschi che da pochi giorni si erano stanziati a Torino. Un documento ufficiale di quei giorni recitava:
L’opificio era abbandonato da pochi giorni dai militari di presidio quando la popolazione stremata dalla fame e dagli stenti, dopo qualche esitazione, entrò nella fabbrica per racimolare qualcosa, coperte, qualche pezzo di cuoio; tesori dopo tre anni di guerra. Verso mezzogiorno arrivarono alcune camionette di soldati tedeschi sparando ad altezza d’uomo e lanciando granate verso i civili che stavano svuotando la fabbrica. Nove morti e diciassette feriti, una carneficina. “I militi della Croce Rossa avevano trasportato via i feriti e i morti che si trovavano sulla strada lasciando le chiazze di sangue sul terreno […] con la condotta ho fatto lavare in modo da non lasciare più traccia”