Nel Settecento la cucina francese domina il panorama europeo e i cuochi parigini si rifiutano di assemblare e condire troppi ingredienti con spezie, cercando di scindere i gusti e creare un nuovo equilibrio tra i sapori. In un passo tratto da A tavola con i torinesi:
La cucina francese aveva operato una rivoluzione radicale nella cultura gastronomica tradizionale depurandola dalle spezie, dalle ornamentazioni esuberanti tanto più inutili in quanto sovente artificiose e soprattutto da quello spirito di ibridazione che mescolava il salato allo zuccherato, l’agro al dolce […]. Leggerezza, raffinatezza, equilibrio, dosaggio, armonia erano parole chiave della nouvelle cuisine […]
Questa nuova tipologia di fare cucina influenza cuochi e pubblicazioni successive: infatti nel 1766 viene editata una raccolta di ricette intitolata Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi. Questo testo, di autore anonimo, è la traduzione di un ricettario francese, la Cuisinière bourgeoise di Menon del 1746, che contiene una cucina internazionale esportabile ovunque purché ci sia la reperibilità delle materie prime e la giusta preparazione. Elemento rilevante in questo testo non è la “piemontesità” di colui che esegue le ricette ma il fatto che abbia studiato tecniche culinarie nuove a Parigi, culla della cucina aristocratico-borghese.
Il ricettario, ristampato ventitré volte dal 1766 al 1855, è trascritto da un perito della cucina, probabilmente piemontese, che apporta modifiche, inserisce aggiunte e lega ricette al territorio, diventando anche ad uso del pubblico italiano. Moltissimi ingredienti sono prodotti locali del Piemonte; questo testo è una simbiosi tra la cucina subalpina e il mondo d’oltralpe.
Questo lavoro, importantissimo, dà origine a un vero e proprio genere editoriale anonimo: nel 1771 esce a Vercelli La cuciniera piemontese, ristampata fino al 1852, e Il cuoco piemontese ridotto all’ultimo gusto, con nuove aggiunte ad uso anche della nostra Lombardia.
I contatti tra cucina francese e italiana iniziano a partire dal 1533, anno dello sposalizio tra Caterina de’Medici ed Enrico II. Caterina avrebbe portato le raffinate specialità culinarie italiane oltralpe costituendole come modello di riferimento per i due secoli successivi. Questo dato non è del tutto vero, perché i recenti studi storici documentano che la cucina francese, distaccatosi da quella medievale e rinascimentale italiana che faceva ampio uso delle spezie, abbia separato il dolce e il salato creando quella ‘naturalità’ dei sapori ripresentata ancora nel Settecento. Ulteriore innovazione della cucina francese è quella di aver dato più importanza alla figura del cuoco rispetto a quella dello scalco, servitore delle tavole dei signori già a partire dal Medioevo.
Nel 1784 nasce a Parigi uno dei più abili e colti cuochi del suo tempo, Marie Antoine Carême. Abbandonato all’età di dodici anni dal padre, trova lavoro come sguattero e a partire dal 1798 fa apprendistato nella bottega Sylvain Bailly, maestro di arte pasticcera. Carême impara dunque anche l’arte bianca, compone pièce montée, l’attuale torta a più piani, e presta servizio da lì a pochi anni al ministro francese Talleyrand.
Inventa grossi torroni, grosse meringhe e croccanti contribuendo a creare presentazioni stupefacenti e scenografiche che valorizzano e migliorano la pasticceria. Inoltre Carême teorizza un “valore” al rapporto che coesiste tra odori e sapori degli ingredienti in una ricetta; lo stesso che oggi cerca di esprimere un grande chef quando compone un piatto.
L’elemento della scenografia nell’allestimento della tavole aristocratico-borghesi assume sempre maggior valore: vassoi, campane, zoccoli con ricchissime decorazioni e vivande ben presentate creano stupore agli occhi e al palato dei commensali. Questo modo di presentare e valorizzare i piatti viene accentuato a partire dal 1810 quando il servizio in tavola inizia a diventare “alla russa”.
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