Rosa Ignazia Diodata, superiore a tutti i poeti italiani viventi

Rosa Ignazia Diodata, superiore a tutti i poeti italiani viventi

E’ cosa nota e universalmente riconosciuta che Torino sia ricca di monumenti… ma quanti sono dedicati a una donna? Nessuno. All’universo femminile torinese sono intitolate al massimo qualche via o epigrafe… ma se camminando veloci per la città immersi nei nostri pensieri notiamo a malapena le statue e i nomi delle vie spesso non ci dicono nulla, figuriamoci se ci accorgiamo delle lapidi sui palazzi, sporche per lo smog e scolorite dal passare del tempo! Vale la pena però, una volta ogni tanto, fermarci un secondo con il naso all’insù per scoprire cosa di interessante ha da dirci Torino. E se di solito ci racconta storie di uomini illustri, a volte si ricorda anche delle donne.
Ad esempio, in Via Alfieri 7, un’epigrafe nomina una certa DIODATA SALUZZO ROERO. Ma chi era costei?

Nata a Torino il 31 luglio 1775, Rosa Ignazia Diodata era figlia del conte Giuseppe Angelo Saluzzo di Monesiglio e Valgrana (pensando al ragionier Fantozzi mi verrebbe da aggiungere anche “Vien dal Mare”, ma mi rendo conto che è fuori luogo…) e della contessa Geronima Caissotti di Casalgrasso. Il padre era un chimico che nel 1757 fondò insieme al matematico Giuseppe Luigi Lagrange e al medico Giovanni Cigna la Società Privata Scientifica Torinese, che nel 1783 diventò la Reale Accademia delle Scienze. La madre era una donna molto colta che si occupò in prima persona dell’educazione della figlia (affiancata anche dagli intellettuali Carlo Denina, Prospero Balbo e Tommaso Valperga di Caluso), senza trascurare però le fondamentali lezioni di economia domestica.
Diodata aveva ben cinque fratelli: Federico, Cesare, Alessandro, Annibale e Roberto (che da adulti furono militari, letterati, scienziati e politici). A quattordici anni, anziché giocare a pettinare le bambole, diede vita insieme ai fratelli ad un’Accademia Scientifico-Letteraria per giovinetti, che si riuniva nel palazzo di Via Alfieri.
Fin da piccola la fanciulla mostrò un grande talento per la scrittura. Poliedrica, passava con gran facilità dai poemi, alle novelle, alle tragedie… il suo stile si situava a metà strada tra classicismo e romanticismo. Giovane poetessa, nel 1795 fu accettata nell’Accademia dell’Arcadia (importante istituzione letteraria romana) con lo pseudonimo di Glaucilla Eurotea. La sua ammissione costituì una vera eccezione, perché di solito veniva accettato solo chi aveva compiuto almeno ventiquattro anni.

Rosa Ignazia Diodata, superiore a tutti i poeti italiani viventiRosa Ignazia Diodata

Nel 1796, a 21 anni, Diodata ottenne il successo con la pubblicazione di una raccolta di poesie intitolata: “Versi”. Fu elogiata dai più grandi scrittori dell’epoca: Manzoni, Alfieri, Parini… Foscolo la definì: “Saffo Italiana” e addirittura Lord Byron disse di lei: “è superiore a tutti i poeti italiani viventi”. In tempi più recenti, Benedetto Croce la soprannominò: “Sibilla Alpina”. Diciamocelo pure, senza essere irrispettosi per carità… ma la lettura delle sue poesie a noi uomini e donne del XXI secolo potrebbe far venire leggermente mal di testa… comunque se fosse vissuta ai giorni nostri sicuramente Diodata sarebbe stata prima nella classifica dei più letti e ospitata nei salotti televisivi più rinomati.
La sua popolarità crebbe di anno in anno: nel 1797 fu ammessa all’Accademia di Filosofia e Belle Lettere di Fossano; nel 1801 alla società arcadica dei Pastori della Dora; nel 1802 fu la prima donna a diventare socia dell’Accademia delle Scienze. Parallelamente a questi riconoscimenti, continuava a pubblicare i suoi scritti. La sua opera più importante fu: “Ipazia, ovvero delle filosofie”, edita nel 1827.

Nel frattempo trovò anche il tempo di sposarsi: nel 1799 convolò a nozze con il conte Massimiliano Roero di Revello, di circa 35 anni più vecchio di lei. Tre anni dopo, il marito già passava a miglior vita lasciando Diodata vedova e senza figli. Non si risposò mai più e passò il resto dei suoi giorni libera, immersa nella letteratura e nei viaggi.
Negli ultimi anni della sua vita soffrì per alcune critiche negative. Nel 1837 un attacco le paralizzò la parte sinistra del corpo e la condusse alla morte, avvenuta a Torino nel palazzo di famiglia il 24 gennaio 1840. Nel 1843 uscì la raccolta “Poesie postume” pubblicata per volontà degli amati fratelli.
E’ sepolta nella cappella di famiglia all’interno della Chiesa di San Bernardino a Saluzzo (CN).

Rosa Ignazia Diodata, superiore a tutti i poeti italiani viventiNonostante la sua grande notorietà, la sua cultura immensa e approfondita per una donna di quei tempi, il suo carattere non mutò mai. Veniva descritta come una persona alla mano, buona ed espansiva, che non apprezzava gli adulatori. Scriveva di sé: “sospetto e livor non conosco”. Avercene di persone così.

Ecco cosa ci raccontano le sbiadite epigrafi di Torino, se restiamo un po’ ad ascoltarle.

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