San Massimo, il primo vescovo della città di Torino

San Massimo, il primo vescovo della città di Torino

San Massimo é stato il primo vescovo della Città di Torino che ai tempi veniva chiamata Augusta Taurinorum, un piccolo castrum circondato da possenti mura che proteggevano una primordiale comunità cristiana e una moltitudine di abitanti  che veneravano divinità da secoli presenti nelle vicende quotidiane dei taurini.

Quando giunse in città, 1500 anni fa,  Massimo concentro  il suo impegno pastorale  su tre aspetti della vita torinese di allora: eliminare l’eresia Ariana, colpevole di rigettare la divinità di Cristo ponendolo ad un livello inferiore, convertire i pagani al cristianesimo ed infine vegliare sulle anime dei cittadini torinesi.

Gli eretici ariani non impegnarono il vescovo più di tanto, erano pochi e le abitudini di questi tendevano ad creare una forma di autoesclusione voluta che avrebbe portato ad una eliminazione naturale di gente che Massimo definiva pericolosa, falsa e cospiratrice, ma non peccatrice. Il peccato lo individuava nei pochi ebrei presenti in città  che erano ciechi di fronte alle loro colpe e alla venuta del cristianesimo, rivelazione che a conti fatti aveva svuotato l’ebraismo  del suo senso;  inoltre li accusava di operare con maligna astuzia infilandosi in tutti i settori per dedicarsi ai loro ignobili traffici.

Convertire i pagani si rilevó un compito relativamente facile. Torino era continuamente sotto assedio da parte dei primi barbari che attraversavano le Alpi e di banditi organizzati come piccoli eserciti. I Torinesi vivevano una continua condizione di terrore che divenne l’argomento principale del vescovo: la continua minaccia di invasioni, la crudeltà della vita erano segni dell’imminente fine , un percorso di fuoco senza pace che si sarebbe concluso con la  luce del signore solo per chi, terrorizzato dai suoi sermoni, si convertiva al cristianesimo.

Massimo era un vescovo molto esigente, duro nelle prediche, scontroso, collerico nei confronti dei suoi fedeli che amava sinceramente e spesso era costretto a motivarli, a dare un senso alla loro vita e alla loro fede. A loro chiedeva una fede sincera, una fede sentita e vissuta nella quotidianità attraverso le indicazioni che venivano impartite durante i sermoni.

Attraverso le 106 prediche di certa attribuzione lasciate ai posteri si capisce che Massimo non voleva una conversione di convenienza ma piuttosto una consapevole conversione basata su impegni, rispetto delle cerimonie e  una condotta di vita cristiana.

Il DIGIUNO, che provocó tante critiche da parte dei suoi fedeli, ma anche tanti adepti,  era  l’unico mezzo per evocare l’aiuto di Dio contro le invasioni e trovare forza ed il coraggio per affrontare la durezza della vita. Un impegno serio che dall’alba al tramonto impediva di mangiare, avere rapporti sessuali e divertirsi.
Quanto risparmiato doveva tramutarsi in ELEMONISA ed essere destinato ai poveri, atto che rinnovava il battesimo dentro il fedele.
Questi due atti rafforzati dalla PREGHIERA, dalla PENITENZA e dalle VEGLIE erano le migliori armi contro la durezza della vita e la perenne condizione di minaccia a cui era sottoposta una città che di pari passo doveva dotarsi di mura sempre piu efficienti e di misure difensive costanti.

Oltre all’importanza della fede il vescovo era consapevole del ruolo anche politico e sociale che aveva la sua figura. Forte delle nuove leggi imperiali che ponevano forti limiti al concubinato, Massimo esortava i cittadini a cacciare la concubina quando non sposati o a sposarla se non ancora impegnati nel sacro vincolo dl matrimonio.
Fedele alla sua missione invitava le autorità civili a mettere in atto ogni possibile mezzo per eliminare il paganesimo che al di fuori le mura continuava ad essere la  pratica religiosa piu diffusa e accusava le stesse autorità di fare leggi ma di non farle rispettare.
Agli inviti spesso aggiungeva aspre critiche nei confronti delle autorità che vendevano le sentenze, riscuotevano le giuste tasse con troppa discrezionalità, pensavano solo ad arricchire le proprie famiglie e tolleravano  i metodi aggressivi dei militari quando rivendicavano  il diritto di preda.

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SAN MASSIMO I

Quanto alla società civile le parole si San Massimo suonano ancora oggi attuali. Tolta l’incresciosa opinione che era preferibile l’arido deserto alle donne, il maggior male esistente, il resto delle sue parole raccontano vizi che il vescovo vive ed accetta con rassegnazione.
I torinesi trascurano le feste, non rispettano i digiuni e sono di dubbia moralità. In troppi pensano alle loro terre, ai loro beni e ai loro banchetti,  rifiutano il digiuno, scappano dalla città alle prime difficoltà e vengono in chiesa per paura di essere additati come pagani.
I ricchi proprietari al di fuori della città sono i peggiori, trattano con rispetto e amore i propri cani e tengono sul limite della sopravvivenza i propri schiavi. Inoltre, come se non bastasse, tollerano le credenza pagane e di conseguenza sono complici del peccato e un impedimento alla lotta contro il paganesimo.

Oggi di Massimo, primo vescovo di Augusta Taurinorum nel lontano V secolo, si parla poco.
É un argomento che interessa pochi, un periodo storico poco di moda, ma che ci racconta  la prima manifestazione della cristianità torinese in una città  che ai tempi contava pochissimi cristiani evangelizzati qualche  anno  prima da san Eusebio. Gli anni che vedevano la nascita dell’arcidiocesi torinese e la posa della prima pietra della chiesa di Sant’Andrea che sarebbe diventata la Chiesa della Consolata.

 

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