Sulle remote origini di Torino, nulla è noto!

Sulle remote origini di Torino, nulla è noto!

Volendo scrivere qualcosa sulle origini di Torino siamo inciampati su “Torino e i torinesi” scritto nel lontano 1898 da Alberto Viriglio, famoso scrittore e giornalista dalla penna curiosa, indagatrice, arguita e particolare. Abbiamo deciso così di proporvelo cambiando giusto qualche parola non più in uso nel odierno linguaggio.

Sulle remote origini di Torino, una sola cosa è nota e pacifica fra gli eruditi.

Esse si perdono nella notte dei tempi, quando nelle valli errava, peloso e piegato sulle ginocchia, il Pitecanthopus erectus, dell’epoca terziaria, precursore delle nostre generazioni.
Nemmeno a Fetonte fondatore si vuol più credere, ma qualcuno ci crede e ne racconta la storia con presuntuosa superiorità fissando la sua caduta dal carro nell’anno 1529 A.C.
Beroso Caldeo, Caio Sempronio, Marco Catone, Filiberto Pingone e l’abate Giroldi, copiandosi successivamente come è uso, le assegnano i natali nell’Anno Mundi 2530, ovvero 1525 A.C., 772 prima della fondazione di Roma.

Un iscrizione del Tesauro dice: TEMPORE MOISIS TAURINO CONDITA.
Plinio, Strabone e Luigi Cibrario la suppongono ligure mentre Carlo Promis la dichiara celtica, d’Illiria.

Imbarazzatissimo a pronunciarmi in merito, mi trincero in una prudente riserva, memore che Paroletti (Turin à le porte des étrangers, 1862) disse: “on ne saurait remonter à l’origine de la ville: il n’y a que des ignorante qui puissent parler de sa fondation(non si saprebbe risalire all’origine della città : non ci sono altro che ignoranti a parlare della sua fondazione). Pietro Giuria (Descrizione di Torino, 1852) chiarì meglio lo stesso concetto ironicamente dichiarando mancargli “la scienza misteriosa di certi antiquari che ebbero forse la possibilità di guardare negli archivi di Noè, poiché descrivono con sicurezza e precisione marce, immigrazioni, contromarcie, tappe, accampamenti, scissure, e lamentele dei popoli antichissimi che occuparono il suolo dove ora sorge Torino” concludendo che nessuno può essere in grado di fissare, anche in via di larga approssimazione, epoca e casi della fondazione di Torino.

Se negli Archivi di Noè io non ho potuto guardare, ho bazzicato assai in quelli del Municipio, perlustrandoli e spolverando cartoni e cartacce sotto la guida sapiente ed amorosa di Pietro Mansuino, modesto e valente; ma, per dire il vero, ho cercato tutt’altro in quel santuario mistico del venerabile << Guardaroba delle quattro chiavi >>, l’archivio di Palazzo Civico.
Ma dove passarono Pingone, Della Chiesa, Tesauro, Craveri, Derossi, Terraneo, Meyranesio, Vernazza, Botta, Denina, Paroletti, Cibrario, Tettoni, Giuria, Tefani, Saraceno, Carutti, Vayra, Claretta, Ricotti, Baricco, Perrero, Vico, Bosio, Semeria, Chiuso, Ferreri, Nicomede Bianchi, Torricella, Carrera, Covino, Borbonese, Manno, Ratto, Rondolino, Ghirardi, Gabotto e dozzine d’altri mietitori valenti,  rimane poco al certo povero spigolatore (Viriglio).

Ma mi sorride una quasi certezza!
Alla fondazione di Torino non debbono aver messo mano i soliti emigranti di Fenicia o da Grecia, senza terre e senza quattrini (poiché gli emigranti di un tempo erano costantemente senza quattrini), raminghi lontani dal tetto natale, uomini in fuga dalla collera di un padre o l’odio di un tiranno, e sempre alla ricerca di città da costruire, colonie da stabilire e figlie di re da sposare.
Tutto ciò d’altronde – non oserei dirlo ma lo penso – è parecchio sterile e conta meno nella bilancia del creato di quanto conti un d’uccellino che è presente e racchiude in seno l’avvenire.

Ma essendo di moda importunare lo spirito degli avi, investigarne i pensieri per attribuire loro sentimenti ed azioni di cui non si sono, forse, nemmeno sognati, tanto vale andar dietro ad essa, ed appena usciti dal ginepraio delle origini di Torino ficcarsi in quelli del nome e degli emblemi per farla una buona volta finita con l’erezione e l’archeologia.
Una volta esaurite sarà possibile insinuarsi con miglior agio fra le ruote del complicato e vario organismo moderno, per esaminarne le funzioni, per aggirarci fra la moltitudine di viventi che formicola e si agita dentro e fuori del perimetro della Cinta Daziaria, una moltitudine che Iddio abbia presto e definitivamente in gloria.

Testo: Torino e i torinesi, 1898 Alberto Viriglio
Immagini: Alberto Viriglio | Fetonte

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