Ovunque ti giri, si parla di cucina, libri, riviste, giornali e soprattutto tv, se provi a fare un po’ di zapping, e inevitabile trovarti sullo schermo una padella sfrigolante, uno chef stellato che urla o una schiera di aspiranti cuochi che si danno battaglia per riuscire ad emergere nella ristorazione…
Evidentemente l’argomento piace e molto. Sarà per l’expo oppure per la continua attenzione che fortunatamente i media cercano di portare sulla qualità del cibo o chissà cos’altro, fatto sta che se uno vuole mettersi a dieta, è meglio tenere spenta la tv.
Non parliamo poi dell’infinità di modelli alimentari che vengono consigliati da dietisti e nutrizionisti di tutto il mondo, basati ormai su ogni tipo di teorema. Arrivi al punto di doverti guardare le spalle mentre al banco del bar cerchi di addentare un croissant di pasticceria appena sfornato; quando senti il burro che ti fa drizzare ogni papilla gustativa, anche quelle più assopite: “non puoi mangiarlo sei dello “scorpione”!!! Lo dice la dieta dello zodiaco” e ogni traccia di godimento gastronomico sparisce all’istante facendoti sentire in colpa come non mai…
Che dire; i tempi sono cambiati? Forse non così tanto.
Probabilmente in questo periodo storico si sta un tantino esagerando, ma la storia della cucina è sempre andata di pari passo con l’evoluzione della società, cucina povera nei momenti di crisi, cucina ricca nei periodi di abbondanza e poi… ci sono stati i futuristi.
Si i futuristi! Anche il movimento futurista ha avuto la sua gastronomia, i suoi ristoranti, i suoi seguaci e Torino è stata parte fondamentale della loro ricerca dell’armonia in cucina.
Siamo all’inizio del XX secolo ed i futuristi con a capo Marinetti sono giunti alla conclusione che è necessario che anche il nutrimento sia una forma d’arte, e che come tutte le arti anch’essa deve partire dall’originalità creativa perché “si pensa, si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia”.
Parte l’idea della cucina futurista, una cucina basata sui sensi, sulla chimica e sulla necessità di avere una prestanza fisica eccellente, quindi un nutrimento adatto ad una vita sempre più aerea e veloce, basta con la pastasciutta, pietanza barbara e basto della schiavitù gastronomica.
La cucina futurista, come abbiamo detto, non si basa solo sul cibo, ma anche sulle percezioni e sui sensi, è quindi indispensabile che il locale dove di degustano i cibi futuristi sia all’altezza. Il primo ristorante futurista nasce proprio a Torino, in via Vanchiglia 2, a due passi da piazza Vittorio ed è realizzata dal famoso architetto futurista ungherese Diulgheroff e decorata dal pittore Fillia: la Taverna del Santopalato, interamente in alluminio dal soffitto al pavimento con colonne luminose e grandi “occhi” metallici anch’essi luminosi a metà parete.
L’8 marzo 1931 la taverna del Santopalato ospita i suoi primi commensali con una cena di inaugurazione, Marinetti, Casorati, Alloati e molti altri tra i più importanti esponenti del movimento futurista di Torino e non solo, e diversi giornalisti. L’annunciatore delle portate è Fillia.
Il menù è di quattordici portate ideate dagli stessi illustri ospiti, Antipasto intuitivo, Aerovivanda tattile con rumori e odori, Brodo solare, Tuttoriso, Carneplastico, Ultravirile, Paesaggio alimentare, Mare d’Italia, Insalata mediterranea, Pollofiat, Equatore Polo Nord, Dolcelastico (questi ultimi due presenti sul menù, ma non serviti per favorire curiosità sorpresa e fantasia!) e due altri piatti fuori menù (serviti sempre per lo stesso motivo, curiosità sorpresa e fantasia).
Ora, dai titoli dei piatti non è facile capire quello che il commensale avrebbe da lì a poco mangiato, ma siamo certi che lo studio e la cura dei dettagli è stata impeccabile. Curiosità sorpresa e fantasia, ovvio! Le ricette dei piatti colpiscono ognuna a modo loro.
Il Pollofiat, ideato da Diulgheroff è un pollo lessato e poi arrostito nel cui interno, prima della seconda cottura vengono messi delle sfere di acciaio dolce che durante la cottura rilasciano il loro aroma ferroso, servito con creste di gallo e panna montata. L’ultima portata a fuori menù, definita da Fillia Porroniana, è un salame cotto servito in un caffè ristretto aromatizzato con Acqua di Colonia.
In quanto a fantasia nulla da dire…
Ma com’è prevedibile, i giudizi sulla cena sono stati piuttosto contrastanti, alcuni entusiasti, altri nostalgici che, all’uscita del locale, rimpiangono tajarin ed agnolotti.
La Taverna del Santopalato non ha avuto il ritorno sperato dai suoi creatori, la cucina futurista non è riuscita a sconfiggere l’ignobile pastasciutta e pochi anni dopo l’inaugurazione il locale cessa la sua creativa attività.
E la cucina futurista?
Ha lasciato spazio alla cucina tradizionale, alla nouvelle cuisine, alla cucina regionale, povera, rivisitata, fusion, sperimentale, molecolare…