In via Po, all’ altezza della chiesa della Santissima Annunziata si trova ‘via delle rosine’, una via dedicata alle Rosine, orfane e povere fanciulle che grazie l’ egoismo istituito e la presunzione del titolo erano private della speranza e del sogno di un futuro migliore. Grazie a Rosa Govone e all’ istituto da lei creato, sappiamo però che, alcune di loro hanno condotto una vita migliore di quella che loro era stata prospettata.
Rosa Govone giunse a Torino nel 1755 con alle spalle diverse esperienze caritatevoli che erano diventate argomento di discussione tra gli uomini di chiesa e alcune famiglie importanti della città di Torino.
L’ attenzione di Rosa nei confronti delle fanciulle orfane, povere e segnate dalla guerra giunse alle orecchie di Carlo Emanuele III che decise di supportare l’ opera donando all’ istituto i terreni e la struttura che avrebbe ospitato le ‘Rosine’.
Ovviamente, c’è sempre qualcuno che rosica, la curia torinese non apprezzò l’ iniziativa del sovrano.
La completa autonomia economica dell’ istituto, senza bisogno di finanziamenti esterni, concedeva una forte libertà a Rosa Govone che, nonostante la sua estrema religiosità, agiva al di fuori dell’ indicazioni della curia. Si provò a metterla da parte con la scusa che, nonostante il suo amore e il suo spirito caritatevole, non aveva la preparazione adeguata a condurre cristianamente la grande ‘fabbrica’ donata dal Re.
Su proposta dell’ arcivescovo Rosa Govone fu sottoposta ad un esame per verificare le sue capacità amministrative e organizzative dell’ immensa struttura di allora. Rosa non superò l’ esame, ovviamente, ma senza perdersi d’ animo ottenne il patronato Regio che consentì lei di far nascere altri due istituti, a Fossano e a Savigliano.
Torniamo alle Rosine!
L’ istituto di Rosa Govone era completamente autonomo, si finanziava completamente grazie al lavoro delle Rosine che raggiunta la maggiore età potevano restare all’ interno dell’ istituto o potevano sposarsi portando in dote quello che avevano accumulato con il loro lavoro.
Le fanciulle accolte erano tutte appartenenti agli strati sociali più bassi di Torino oppure erano orfane senza possibilità alcuna di un futuro. Entravano all’ interno della struttura per essere protette passando dal portone dove una scritta recitava “Vivrai dell’opera delle tue mani “ (salmo 127,2)
Il lavoro stesso era l’ unica possibilità per uscire dalla spiacevole situazione che la vita aveva fatto loro incontrare e il lavoro era l’ unica opera necessaria a vivere.
Con il passare degli anni, Rosa Govone ampliò l’ offerta dei servizi da lei proposti, linguaggio moderno, arrivando a creare una sorta di ‘comune’ dove l’ intervento esterno era superfluo e dove nessuno poteva metterci più di tanto becco.
Le Rosine venivano educate ad essere autonome, produrre e vendere il frutto del loro lavoro, imparare le nozioni base didattiche per trasmetterle ai vari trovatelli di Torino, accogliere chi per un motivo o per l’ altro veniva emarginato e . . a non dover chieder niente a nessuno.
Vivrai dell’opera delle tue mani, cosi diceva lei!
E noi, oggi, possiamo solo ribadire il concetto!